da Agit-Prop
[Tito Pulsinelli ha letto, qui, il V-Day indetto da Beppe Grillo come un fenomeno di democrazia diretta, a torto scambiato per populismo. Altri redattori di Carmilla,
pur accettando molte tesi di Pulsinelli, hanno del V-Day una visione
molto più critica. Sintetizzo le loro posizioni con un articolo apparso
sul sito Agit-Prop, riservandomi un brevissimo commento finale.] (V.E.)
Ne hanno parlato i tg. Due o trecento mila presenze in piazza a
Bologna. Una rete satellitare dedicata, a seguire in diretta l’evento.
Lui dirà dal suo blog di non essere stato considerato a sufficienza. Il
suo pubblicò annuirà convinto. Quel che vogliono sentirsi dire.
Ostracismo da casta.
Passare in rassegna i nomi dei panzoni della politica di professione.
Metterli alla berlina e con ognuno procedere ad un sommario pelo e
contropelo. Il salone di barbiere di Beppe Grillo piace. Affascina.
Ingolosisce.
Basta vedere le immagini dei giovanotti in estasi. La generazione
passiva, quella che – pur senza mai mettere piede in una sezione di
partito – pretende di designare candidati e strategie; quella che
definisce “corrotti” i dirigenti e “mafiosi” i sindacalisti, ma non ha
tempo né fiato per approfondire le dinamiche; quella che giudica con
l’accetta, senza il cruccio della partecipazione.
L’estasi dei volti dinanzi al patrono.
Romano, molto romano, nella sua magniloquenza da tribuno, il nuovo vate. Popolo plaudente.
Ma il “male assoluto” non è nelle proposte quanto nell’incapacità di
sistematizzare, da parte nostra, una critica codificata. Comprensibile.
Lo sguardo di quelli che se parli di “qualunquismo”, di “neopopulismo”,
di “demagogia”, rispondono come studenti dinanzi a una formula
matematica. E, dopo aver scorso l’intero database, non vi trovano
riferimenti plausibili. File not found. Il pericolo primo, il peccato
originale della comunicazione: la mancanza d’abicì, d’educazione
politica, l’anti-politica. Convertito in radicale rifiuto. Come certi
single disperati che fanno di tutto per spacciare il loro status per
libera scelta.
Noi temiamo l’antipolitica, come i Gremlins temono l’acqua piovana.
Quell’impasto rudimentale di rancore, primordiale rivendicazione,
frustrazione senza progetto che – volenti o nolenti – spalanca le porte
al cesarismo, al bonapartismo, agli uomini della provvidenza, che
spuntano dagli anfratti più reconditi (Grillo l’avevamo lasciato comico
e per poco non lo ritroviamo santone di una setta elettoralmente vicina
al 10%) per “guidare il malessere”. Verso un nuovo malessere, il
malessere del populismo che si fa sistema. Quel che vogliono sentirsi
dire.
Tre petizioni per leggi d’iniziativa popolare. Un fottio di firme.
“No ai 25 parlamentari condannati in Parlamento – Nessun cittadino
italiano può candidarsi in Parlamento se condannato in via definitiva,
o in primo e secondo grado in attesa di giudizio finale”.
Daniele Farina alla gogna come bombarolo, solo alfabeticamente citato
prima di Previti e dopo altri dieci o dodici tangentisti, furbetti e
camorristi. Solito urlo dalla folla. Nessun distinguo. La pia illusione
che non sussistano contromosse possibili, che non esista una mafia
bianca, pulita come un neonato nella nurcery. O la grande suggestione
delle ricchezze innocenti, senza spargimento di sangue. Che queste non
possano rappresentarsi a Montecitorio. Stereotipo da bettola.
“No ai parlamentari di professione da venti e trent'anni in Parlamento
– Nessun cittadino italiano può essere eletto in Parlamento per più di
due legislature. La regola è valida retroattivamente”.
Come se la casta s’autoimponesse ad una massa stordita. Come se
l’elettorato non fosse di suo, stordito. Come se la gioventù fosse un
valore assoluto, certificabile. E la scarsa durata agli scranni una
garanzia di qualità. Che tra certi vecchietti capaci e certi giovani
d’aperitivo e cocaina, si debba per obolo anagrafico preferire i
secondi. Scacciando dalla mente le clientele e il sadomasochismo: gli
abitanti di Nusco che suffragano di voti De Mita, quelli di Ceppaloni
che agghindano d’alloro Mastella, la gloria patria. Unica soluzione: il
napalm. Altro che partecipazione popolare.
“No ai parlamentari scelti dai segretari di partito – I candidati al
Parlamento devono essere votati dai cittadini con la preferenza
diretta”.
E allora che i Grilli qualunquisti prendano possesso dei partiti, li
vivano, li destrutturino, li ricompongano come mattoncini Lego.
Strappino dirigenze e posti-chiave. Tornino alla militanza,
all’attivismo di strada. Nel nome di un progetto, e non di un tiramento.
Con quale voce in capitolo un partito – sebbene esangue – dovrebbe
sottoporsi al giudizio della cittadinanza passiva quando la
cittadinanza passiva fa di tutto per annichilire i partiti?
La mancanza di partecipazione privatizza la politica.
E difficilmente la causa del male può fungere da placebo del male stesso.
L’origine del qualunquismo grilliano è nelle domande che pesano: se
nessuno rubasse (dinanzi a popoli barbari che percepiscono la ruberia
come moralmente più grave dello stragismo), se il capitalismo scorresse
fluido tra le dita di amministratori capaci ed etici… sarebbe questo
un buon sistema nel quale vivere? E, nell’era del superpotere del
capitale finanziario, un capitalismo retto da talebani della morale
avrebbe le carte in regola di sfuggire ai crack, ai dissesti e ai
disastri? Le carte in regola per evitare lo scempio e la rapina
d’interi continenti? Ovviamente no. Tutt’al più si potrebbe ambire ad
uno scempio eticamente guidato. Socialdemocraticamente (o
corporativisticamente) moderato. Vi andrebbe bene, grilli?
Di fondo, nel popolo del V-day, vi è una sopravvalutazione della
Politica, del Sistema Politico e della funzione parlamentare. I grigi
funzionari presi a pomodori in faccia hanno di che goderne. Considerati
come sono non semplici gestori di un sistema naturalmente ingestibile,
ma attori di primo piano, determinanti, finanche creatori dello
sviluppo. Semplicemente ridicolo. Offensivo, quando non tragicomico.
Fumo negli occhi degli allocchi e dei neofiti. Ruffianeria a basso
costo per orecchie predisposte. E ancora: frustrazione vissuta
collettivamente, pericolosamente. Quel vago eppure percettibilissimo
sentimento fisico di non contare nulla. Accompagnato da quel
controcanto altrettanto fisico, percettibile e vago, che ti sussurra
all’orecchio che anche in un mondo diverso da questo, completamente
rovesciato (come le tasche dei malfattori), non conteresti nulla lo
stesso. Certo, c’è la beatitudine dell’outing. Ma nulla di esaltante
nell’andare a confessare in giro che polvere si era e polvere si è. Il
qualunquismo è l’un, due, tre, stella! d’ogni agire politicamente
orientato: tutti sono ladri! Tutti sono meschini! È giunto il tempo di
dire basta! di farla finita con tutto e con ognuno!
Beppe Grillo parla a loro.
A questa umanità stanca. A questa umanità che delega e malsopporta, che
ritiene l’appropriazione indebita più volgare della strage di Stato. A
questa umanità rabbiosa, incapace di costruire valvole di sfogo. Se non
l’urlo della disperazione, dell’impotenza. Grillo spara nel mucchio. Il
Vaffanculo-Day. Per ricordare che dal 1943 non è cambiato niente. Ieri
il re in fuga e la Nazione allo sbando, oggi politici blindati nei
palazzi immersi in problemi “culturali”.
L’antipolitica, le soluzioni facili e apparentemente definitive, lo
sfogo senza sostanza, il vomito senza progettualità, non sono in nulla
e per nulla assimilabili alla nostra lotta. il qualunquismo è un
nemico, è bastione di classe, tanto più pericoloso quanto più solletica
ed affascina la voglia di riscatto dei senza parte. Il qualunquismo è
fascismo in potenza. Diffidiamone senza sorridere, giacché il sorriso
sarebbe un primo riconoscimento che non ci va di fornire.
* 09/09/07 – estratto da “Plebe” n.23
UN COMMENTINO
di Valerio Evangelisti
Verso la fine dell'Ottocento Andrea Costa, il primo deputato
socialista italiano, aveva vita difficile. A ogni fine di legislatura
era costretto ad abbandonare l'Italia e a rifugiarsi in Francia, per
non essere arrestato, tante erano le imputazioni che gravavano su di
lui.
Per fortuna, sia subito prima che dopo il fascismo vennero introdotte
garanzie che consentissero ai deputati di svolgere la loro attività,
accogliendo un'istanza che proveniva soprattutto dalla sinistra. Che
poi di quelle garanzie si sia fatto spesso cattivo uso è più che certo,
tuttavia non mi sembra un buon motivo per tornare indietro.
Si
dirà che Beppe Grillo non aveva certo in mente, nel proporre la non
eleggibilità alle Camere dei condannati in via definitiva, l'Andrea
Costa periodicamente latitante. No, però nel suo discorso a Bologna non
ha esitato a mettere sullo stesso piano politici collusi con la mafia e
un Daniele Farina (nella foto), presentato come terrorista. Chi
è Farina? E' uno dei fondatori storici del centro sociale Leoncavallo
di Milano, destinatario, certo, di condanne definitive legate
all'occupazione e alla difesa della struttura. A questo si riducono i
suoi crimini. E' lecito compararlo a un mafioso qualsiasi?
Che la piazza reclami i suoi diritti è positivo. Che se ne serva a fini
di generico "giustizialismo" non lo è, e rischia persino di risultare
infame. Secondo la stampa locale, molti di coloro che hanno partecipato
al V-Day abbracciavano un concetto astratto di "legalità", e dirigevano
la loro ira, in egual misura, contro i politici come contro i
lavavetri, i rom, i rumeni e gli altri bersagli dei sindaci di Bologna,
Verona, Firenze, i comuni del Pavese ecc. (volutamente, e
provocatoriamente, li metto tutti assieme).
Bisogna stare attenti a chi si riempie la bocca del termine "legalità"
e, rimboccate le maniche della camicia, arringa le folle. Mica sempre è
un "progressista". Grillo a volte lo è, altre volte somiglia a un puro
forcaiolo, come si vede vagando sul suo sito. Se fosse per il suo più
compassato collega, Marco Travaglio, Adriano Sofri sarebbe ancora
dentro (lo dice uno che detesta Sofri), e forse lo sarebbe stato anche
Andrea Costa fino alla fine dei suoi giorni. Quanto a Gian Antonio
Stella, autore del libro La casta
cui sembrano ispirarsi i grillisti, è autore di articoli sul
"bolivarismo venezuelano" – lo dico per Pulsinelli, che vive laggiù –
grondanti odio.
Eugenio Scalfari e Giovanni Sartori esagerano certamente, e in maniera
interessata, quando vedono dietro Grillo il supposto pericolo di un
fascismo di ritorno. Però evitiamo di enfatizzare la lucidità politica
di un attore che, in nome di uno slogan vecchio come il cucco ("la
politica è sporca, facciamo pulizia"), sembra sollecitare, certo in
buona fede, i più bassi istinti della massa quanto Berlusconi.
Prima e seconda Repubblica sono finite malissimo, c'è bisogno di una
terza? In quanto a democrazia diretta, personalmente mi auguro qualcosa
di meglio.
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Pubblicato Settembre 16, 2007 03:01 PM