A quasi sei anni dai drammatici giorni di luglio del 2001, quando a Genova durante il G8, la polizia picchiò con violenza inaudita
i partecipanti del corteo che si opponeva alla globalizzazione e alla violenza, arriva finalmente la prima condanna in tribunale. Il giudice istruttore Angela Latella della seconda sezione del tribunale civile di Genova ha condannato lo Stato a risarcire Marina Spaccini, 59 anni, pediatra triestina, volontaria per anni in Africa, per il pestaggio che subì da parte delle forze dell’ordine in via Assarotti, vicino piazza Manin, nel pomeriggio del 20 luglio 2001. La donna, missionaria e militante cattolica della Rete Lilliput, era seduta con molte altre persone, con le mani alzate dipinte di bianco, gridando «Non violenza!», quando fu massacrata dalla polizia.
Il ministero degli Interni se la cava pagando appena 5mila euro di risarcimento (comprese le spese legali) alla pediatra, che per la ferita alla testa fu costretta a farsi medicare con diversi punti di sutura. All’opinione pubblica era stata sufficiente l’immagine della pediatra triestina che, ferita, curava un altro manifestante del G8, apparsa sulla copertina di Diario, nel numero dedicato alle violenze della polizia al summit genovese del 2001.
In tribunale, nelle motivazioni, rese pubbliche nei giorni scorsi, si legge: «Emerge come accertata in tutta la sua drammaticità l’aggressione subita da Marina Spaccini ad opera di un’appartenente alle forze dell’ordine». Il giudice boccia complessivamente l’attività della polizia: «Tutto depone, comunque, per una grande confusione organizzativa dell’evento». Finora i vari poliziotti e i loro capi si erano difesi con la patetica scusante che la loro carica era diretta contro un gruppo di “Black Bloc”, che c’era una gran confusione e qualcuno tirava contro di loro le molotov, che era stato impossibile distinguere tra le mani dipinte di bianco dei militanti della Rete Lilliput” e le teste incappucciate di nero dei “Black Block”. La sentenza del tribunale, nella motivazioni, contesta questo punto, spiegando che «l’attendibilità delle testimonianze dei poliziotti appare alquanto limitata».
Del resto, che polizia e carabinieri a Genova non fossero andati con la mano leggera lo dimostra la morte di Carlo Giuliani, le violenze alla Diaz e a Bolzaneto, in quello che un rapporto di Amnesty International definisce come una «violazione dei diritti umani di proporzioni mai viste nella più recente storia d’Europa». In tribunale, è stato palese che l’intervento della polizia non fosse stato «legittimo». Lo hanno confermato le testimonianze raccolte e addirittura i gli stessi poliziotti e funzionari, che sono caduti spesso in contraddizione. «Gli aggressori erano diverse decine; l’ordine era di caricarli, disperderli ed arrestarli», hanno detto alcuni agenti interrogati. Poi è risultato che furono arrestati solo due ragazzi, incolumi, la cui posizione è stata poi anche archiviata. Il giudice stesso ha sottolineato come fotografie e filmati portati in aula «siano stati illuminanti»: «Si vedono ammanettare persone vestite normalmente; più poliziotti colpire con i manganelli una persona a terra, inerme. Poi testimonianze come quella di una signora settantenne che vide gli agenti «bastonare ferocemente persone con le mani alzate e inermi come lei».
«Era semplicemente quello che attendevo da sei anni. Giustizia», ha detto Marina Spaccini commentando il giudizio. «Ovviamente non ho combattuto questa battaglia per i soldi – ha concluso -, ma perché era l’unica strada per fare emergere un po’ di verità su quanto avvenuto. Ora spero se ne parli». E presto potrebbero ottenere soddisfazione altri due pacifisti che si trovavano in piazza Manin.