Cortometraggio: Come bambole

Questo corto ha vinto il secondo premio ad un concorso di cortometraggi organizzato dell Hiroshima mon amour. Il concorso si chiama "50 ore",  il nome si riferisce alle ore che devi impiegare per girare il corto. Ci sono anche degli elementi obbligatori da inserire nel corto, in questa edizione erano la bussola e i pantaloni strappati. Personalmente mi e' piaciuto assaje, quindi vi consiglio di dargli un'occhiata a questo link.

Vi ricordo che stasera c'e' la grigliata all'aska, e che il 9 giugno siamo tutti a dare il benvenuto a Roma al nostro carissimo Giorgio doppiavvu Cespuglio. Saludi a tottus.

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Lettera da un militante del FUAN di Torino.

Ieri mi ha scritto un commento un militante del FUAN. Hanno bisogno di uscire dai loro siti del cazzo perche' altrimenti non li caca nessuno. Hanno fatto cosi' con indymedia e ora fanno cosi' con NOBLOGS. Strategia intelligente: riempire gli altri siti di merda perche' i loro siti di merda non glieli caca nessuno. Ma non hanno capito che qui non ci mettiamo un cazzo a togliere i commenti. Pace all'anima della democrazia ma si possono anche fottere. Comunque, pubblico solo questo commento apparso un po' piu' sotto per farvi notare la serieta' di questi personaggi.

 "A parte che non eravamo in 8, bensì in 12! E poi io sono sempre all'università: non dire cazzate!
Per sapere la verità su cosa è realmente successo quella mattina a Palazzo Nuovo, visitate questo link: http://www.XXXXXX.it

PS: Quanto odio le vostre menzogne per fare politica!"

Okkio! 12 non 8, che comunque nella loro economia e' molto importante, se poi giustamente vogliamo contare anche quelli che indossavano le divise ed avevano il casco blu… beh allora raggiungete la cinquantina. Ma soprattutto, il ragazzo scambia l'essere all'universita' per studiare e l'esserci animando la vita politica all'universita'. Questi simpatici ragazzi all'universita' si vedono giusto il 28 Ottobre quando cercano di commemorare il "Marcio su Roma", e anche quelle volte entrano scortati dalla polizia, come abbiamo potuto assistere il 14 Maggio. Peccato non ne vada bene una. Ah… forse ho capito, il problema e' che gli rode. Gli rode di essere emarginato politicamente da quelli della sua universita'. Sono commosso, come ho fatto a non accorgermi prima di tanta sofferenza?

 p.s.: spero che questo commento l'abbia spedito qualche amico, perche' se e' veramente di uno del FUAN vuol dire che sono veramente alla frutta. O meglio: a frori.

p.p.s.: i link all'articolo inerente alle cariche del 14 Maggio http://the-stobados.noblogs.org/post/2007/05/14/torino-cariche-al-presidio-antifascista-all-universita-.

http://www.infoaut.org/news.php?id=341 

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Caso Aldrovandi, svolta nell’inchiesta: per 4 agenti l’accusa è di aver provocato il decesso del giovane



Italia, maggio 2007
Novità nel caso di Federico Aldrovandi, il ragazzo di Ferrara morto il 25 settembre 2005 dopo un violento e dubbio fermo di polizia: Nuove prove erano insabbiate nella cassaforte della questura di Ferrara. Potrebbero esserci dei risvolti interessanti sul piano penale.

Riproduciamo, qui di seguito, l'articolo pubblicato oggi dal Corriere dell Sera (Mercoledì 30 maggio 2007)

<<Le sorprese erano chiuse in cassaforte. Ci sono novità sulla storia di Federico Aldrovandi, lo studente diciottenne che il 25 settembre 2005 morì a Ferrara dopo essere stato fermato dalla polizia. Tutto era pronto per l’udienza preliminare che il prossimo 20 giugno deciderà se mandare a processo quattro agenti accusati di omicidio colposo. Ed invece, dalla questura arrivano nuovi reperti, sconosciuti agli atti dell’inchiesta. Dagli «originali » delle telefonate ai tamponi imbevuti del sangue del ragazzo. E con essi affiorano dubbi e sospetti, ai quali dà corpo Alessandro Gamberini, legale della famiglia del giovane: «È la prova di come in questa inchiesta il materiale di indagine sia stato accuratamente selezionato, dato o non dato a seconda della convenienza. Per fortuna qualcosa è cambiato». Aldrovandi muore a Ferrara, in via Ippodromo, dopo aver trascorso la notte in un centro sociale di Bologna. Così ricostruiva i fatti una nota della questura: «Alle 6.25 personale di Polizia interveniva su segnalazione di alcuni cittadini che avevano riferito del comportamento strano di un giovane. Poco dopo, il giovane è stato colto da malore».

La vicenda

Caso chiuso. Morto per cause naturali, durante il trasporto in ospedale. Overdose, si dirà poi. Tre mesi dopo Patrizia, la madre di Federico, apre un blog per chiedere nuove indagini. Emergono testimonianze che parlano di un controllo piuttosto energico da parte degli agenti intervenuti. Secondo i consulenti della famiglia ci sarebbe stata una violenta colluttazione tra quattro agenti e Aldrovandi, sottoposto ad una immobilizzazione forzata con schiacciamento della cassa toracica. Il 9 gennaio 2007 c’è la richiesta di rinvio a giudizio per quattro poliziotti. La partita giudiziaria si giocherà su perizie mediche e sulle diverse ricostruzioni degli orari. Anche per questo, è di grande onestà e pulizia la nota datata 2 febbraio 2007 della Squadra mobile di Ferrara che accompagna le nuove rivelazioni. Scrive il dirigente: «In data odierna ho avuto accesso, per la prima volta, al registro degli interventi del 113 relativo al periodo di indagine, fino ad oggi custodito nella cassaforte dell’Unità di polizia giudiziaria». Per una circostanza fortuita, si apre così, «per la prima volta», lo scrigno che contiene gli originali degli atti compiuti quel 25 settembre 2005.

Il catalogo è questo: ci sono tutti i brogliacci delle telefonate effettuate dagli agenti, e gli orari del loro intervento nel luogo dove Federico Aldrovandi cominciava la sua agonia. La Squadra mobile li mette a confronto con i documenti «puliti» che sono stati poi allegati agli atti dell’inchiesta. E scopre che tra la copia «in brutta» e quella in bella, ci sono differenze sostanziali. Sull’orario dell’arrivo della prima pattuglia, i cui agenti sono accusati di aver pestato Aldrovandi: «Doverosamente si deve rilevare come il foglio di intervento originale, annullato con dei segni trasversali a penna, è parzialmente difforme» da quello poi trascritto agli atti. «In particolare, la difformità è relativa all’orario in cui è stato dato l'intervento, e la correzione fatta a penna contrasta con i fogli successivi ». Il nuovo questore di Ferrara, Luigi Savina, uno dei poliziotti più stimati dal Viminale, mette per iscritto di non aver chiesto «per ora» una relazione sull’accaduto ai due ispettori che hanno firmato i rapporti solo perché consapevole che anche la Procura ha un procedimento in corso sui modi con i quali è stata effettuata l’indagine sulla morte di Aldrovandi. Dal carteggio custodito in cassaforte spuntano anche due lettere «manoscritte in originale», che sono riferibili alle attività di sopralluogo compiute la mattina del 25 settembre—Aldrovandi morì poco dopo l’alba—«ma non risultano finora essere state inviate alla autorità giudiziaria».

L'ultima scoperta è forse la più clamorosa. La questura comunica di aver ritrovato anche sette tamponi intrisi di sangue «relativi al giovane Aldrovandi» conservati da ormai due anni nei frigoriferi della Polizia scientifica, e mai messi agli atti. In una vicenda dove autopsie, perizie mediche e sopralluoghi contano molto, è un dettaglio che potrebbe avere la sua importanza.>>

 Link al sito  http://www.veritaperaldro.it/

www.infoaut.org 

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Sabato 2 giugno grigliata popolare nel cortile del CSOA Askatasuna a Torino

Sabato 2 giugno grigliata popolare nel cortile del CSOA Askatasuna

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Sesso, rock’n’roll e preti pedofili.

Probabilmente ne avrete sentito parlare per le polemiche tra Santoro e la censura Rai. Sex crime and vatican e' un documentario della BBC mai andato in onda in Italia, probabilmente per coprire i "santi" che si celano dietro questo video. Tra questi santi vi e' anche il sucessore di Giovanni Paolo, Benedetto XVI, che ai tempi degli avvenimenti era "solamente" cardinale. In sintesi il video parla di un documento che intima le vittime a non sporgere denuncia verso quelle figure religiose che si sono macchiate del reato di pedofilia. E dire che noi stiamo ancora a farci dare lezioni di morale della CEI e dal Vaticano su DICO e su famiglia.

 

http://video.google.com/googleplayer.swf?docId=3237027119714361315

 

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[Concerti] Kenze Neke e Askra sbarcano in continente. {a Manca pro s’Indipendentzia Benefit}

Solarussa. 10 mila persone, un fiume di bandiere sarde ed il ritorno sul palco di uno dei gruppi (se non IL) piu' rappresentativi della storia musicale sarda: i Kenza Neke. Beh, quel giorno non nego che parecchie volte mi siano saliti i brividi su per la schiena a sentire alcuni pezzi. Forse l'emozione era data anche dal periodo che ci siamo trovati ad affrontare: dieci compagni in carcere con l'accusa di associazione sovversiva con finalita' di terrorismo. Il concerto tra le altre cose era per raccogliere soldi per le spese legali, ed anche se l'entrata era gratuita tantissimi hanno dato quello che avevano. E poi, la festa… anche se con la mente rivolta a chi alla festa non poteva partecipare.

Italia. Finalmente anche i sardi immigrati potranno godere del loro ritorno. A giugno infatti sara' la volta di Pisa e Firenze, rispettivamente 22 e 23, mentre  ad ottobre dovrebbero essere ospiti del Centro Sociale Askatasuna a Torino (salvo imprevisti). Insomma, che dire.. spargiamo la voce per preparargli una degna accoglienza. Ovviamente il ricavato sara' interamente devoluto ad a Manca pro s'Indipendentzia ed alle spese legali che devono affrontare i compagni (ancora sotto provvedimenti restrittivi). Per informazioni sui concerti visitate il sito degli immigrati sardi di Pisa "Sardigna Ruja" http://www.sardignaruja.altervista.org/ .

Inoltre vi ricordo che dei 10 compagni arrestati l'11 luglio uno e' completamente libero e non piu' indagato, 8 sono ai domiciliari, e una compagna invece e' libera da provvedimenti restrittivi. Si trovano invece ancora in carcere, da piu' di un anno, i tre compagni arrestati a Nuoro, accusati di un attentato ad una sede di Alleanza Nazionale; un anno di provvedimenti cautelari e di vessazioni che i tre compagni sono costretti a subire a causa della repressione dello stato e del silenzio assordante che e' stato calato sulla loro vicenda.

Vi lascio con una piccola strofa che qualcuno potrebbe continuare…

"Arziati entu e surva cummente mai ha'survatu…"

 

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Sant’Efis la ghe tui mi depis.

 

http://www.youtube.com/watch?v=GcKp97IWsiA

Parola per parola ecco il discorso del nostro leader maximo di Kasteddu, durante i riti per la festa del patrono:


"Non è una giornata da dimenticare, perchè sicuramente Sant'Efisio ci sta affianco e ci fà bene e non male. Bisogna pensarci più vicino perchè la storia di Sant'Efisio e a lungo da termine parla della terra di.. di un colore che noi ci teniamo abbastanza buono. Il buono della sua religione è di un cavaliere che potrebbe essere cavaliere per noi, sentiamo tutto quello che c'è all'interno, perchè noi fra i sardi il sentimento è um… è umorismo che teniamo religiosamente, veramente… fss.. con grande cuore e quando il momento. S'Efisio mi fai emozionare però non vogliono dire le parole che ho detto prima son per del male, perchè la gente sia affianco perchè quanto più affianco è un sentimento che ci tu porti tu sanamente, per il lavoro e per la
salute in alto."

… 

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[Concerti] Andata e ritorno (forse) per Pinarella di Cervia.

 Fu Manchu

Forse, se la maledizione del benessere non ci lascia a piedi anche questa volta, fra qualche ora dovremmo prendere il volo verso Cervia alla volta del Rock Planet. Andiamo a vedere uno dei concerti che sto attendendo da piu' tampo. FU MANCHU. E ho detto tutto. Solo volevo comunicarvi questo.

p.s.: se si dovesse fermare la macchina come per il concerto dei The Bronxxx, sappiate che mi ritroverete spiaccicato sotto il bastione St. Remy. Saludi et trigu.

 

 

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Nel 1977 io avevo meno sette anni.

Nel '77 io avevo meno sette anni, e poche persone mi hanno raccontato qualcosa di quegli anni cosi' intensi. Cosi' poche che si possono contare sulle dita di una mano, neanche di due. Alcuni cercano di dimenticare, molti cercano di distorcere, alcuni di essi sono morti ammazzati, molti sono finiti in gaetta. Insomma, e' una storia semi-dimenticata che, grazie al libro di Paolo Pozzi, insurrezzione, ho potuto immaginarmi con la mente. E' una bella storia, un romanzo che ti rapisce, che ti fa sperare e ti fa incrociare le dita, come in quel racconto dove devono fare una rapina nella bassa padana ed entrano in paranoia. Ti fa piangere. Si anche piangere, quando ti immagini la scena di lui e di lei divisi da un vetro, nella stanza dei colloqui in carcere, e di quando gli arriva la lettera di un suo amico in esilio a Parigi, o di tante altre storie come queste…

Da divorare. 

Paolo Pozzi – Insurrezione  ed. DeriveApprodi 

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G8, la prima condanna: la polizia deve pagare per i pestaggi

A quasi sei anni dai drammatici giorni di luglio del 2001, quando a Genova durante il G8, la polizia picchiò con violenza inaudita

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i partecipanti del corteo che si opponeva alla globalizzazione e alla violenza, arriva finalmente la prima condanna in tribunale. Il giudice istruttore Angela Latella della seconda sezione del tribunale civile di Genova ha condannato lo Stato a risarcire Marina Spaccini, 59 anni, pediatra triestina, volontaria per anni in Africa, per il pestaggio che subì da parte delle forze dell’ordine in via Assarotti, vicino piazza Manin, nel pomeriggio del 20 luglio 2001. La donna, missionaria e militante cattolica della Rete Lilliput, era seduta con molte altre persone, con le mani alzate dipinte di bianco, gridando «Non violenza!», quando fu massacrata dalla polizia.

Il ministero degli Interni se la cava pagando appena 5mila euro di risarcimento (comprese le spese legali) alla pediatra, che per la ferita alla testa fu costretta a farsi medicare con diversi punti di sutura. All’opinione pubblica era stata sufficiente l’immagine della pediatra triestina che, ferita, curava un altro manifestante del G8, apparsa sulla copertina di Diario, nel numero dedicato alle violenze della polizia al summit genovese del 2001.

In tribunale, nelle motivazioni, rese pubbliche nei giorni scorsi, si legge: «Emerge come accertata in tutta la sua drammaticità l’aggressione subita da Marina Spaccini ad opera di un’appartenente alle forze dell’ordine». Il giudice boccia complessivamente l’attività della polizia: «Tutto depone, comunque, per una grande confusione organizzativa dell’evento». Finora i vari poliziotti e i loro capi si erano difesi con la patetica scusante che la loro carica era diretta contro un gruppo di “Black Bloc”, che c’era una gran confusione e qualcuno tirava contro di loro le molotov, che era stato impossibile distinguere tra le mani dipinte di bianco dei militanti della Rete Lilliput” e le teste incappucciate di nero dei “Black Block”. La sentenza del tribunale, nella motivazioni, contesta questo punto, spiegando che «l’attendibilità delle testimonianze dei poliziotti appare alquanto limitata».

Del resto, che polizia e carabinieri a Genova non fossero andati con la mano leggera lo dimostra la morte di Carlo Giuliani, le violenze alla Diaz e a Bolzaneto, in quello che un rapporto di Amnesty International definisce come una «violazione dei diritti umani di proporzioni mai viste nella più recente storia d’Europa». In tribunale, è stato palese che l’intervento della polizia non fosse stato «legittimo». Lo hanno confermato le testimonianze raccolte e addirittura i gli stessi poliziotti e funzionari, che sono caduti spesso in contraddizione. «Gli aggressori erano diverse decine; l’ordine era di caricarli, disperderli ed arrestarli», hanno detto alcuni agenti interrogati. Poi è risultato che furono arrestati solo due ragazzi, incolumi, la cui posizione è stata poi anche archiviata. Il giudice stesso ha sottolineato come fotografie e filmati portati in aula «siano stati illuminanti»: «Si vedono ammanettare persone vestite normalmente; più poliziotti colpire con i manganelli una persona a terra, inerme. Poi testimonianze come quella di una signora settantenne che vide gli agenti «bastonare ferocemente persone con le mani alzate e inermi come lei».

«Era semplicemente quello che attendevo da sei anni. Giustizia», ha detto Marina Spaccini commentando il giudizio. «Ovviamente non ho combattuto questa battaglia per i soldi – ha concluso -, ma perché era l’unica strada per fare emergere un po’ di verità su quanto avvenuto. Ora spero se ne parli». E presto potrebbero ottenere soddisfazione altri due pacifisti che si trovavano in piazza Manin.

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